Psicoterapia Sensomotoria

La psicoterapia sensomotoria è un approccio ai disturbi post traumatici e alla psicopatologia in generale sviluppato negli anni ’80 da Pat Ogden e dai suoi collaboratori. Affonda le sue radici teoriche nel metodo Hakomi, un approccio terapeutico fondato nel 1970 da Ron Kurtz che pone l’attenzione sul corpo come via d’accesso ai ricordi e alle credenze. A partire dall’Hakomi Method, la psicoterapia sensomotoria si serve di numerosi contributi teorici e tecnici provenienti da altri approcci: la psicoterapia psicodinamica, la psicoterapia cognitivo-comportamentale, la teoria dell’attaccamento e la dissociazione, le ricerche nelle neuroscienze e i lavori di Janet (1919), Steele e Van der Hart (2009) e Schore (2003). L’idea di base è che “il corpo per innumerevoli ragioni sia stato trascurato dalla cura delle parole” e che nella cura delle esperienze traumatiche si debba riportare la nostra attenzione sulle numerose reazioni sensomotorie (immagini, odori, suoni, sensazioni e dolori fisici, oppressioni, torpore) che le caratterizzano.  Nel suo approccio, Pat Ogden unisce le tradizionali conoscenze teoriche sul trauma provenienti dalle terapie parlate e dalla neurobiologia con una psicoterapia orientata sul corpo. La psicoterapia sensomotoria si basa sull’ idea che il passato traumatico continui ad influenzare il modo in cui le persone percepiscono se stesse e ciò che le circonda e il modo in cui esse si pongono in relazione. Piuttosto che concentrarsi sul significato che le persone attribuiscono alla loro esperienza, il focus è quindi rivolto all’autoconsapevolezza e all’autoregolazione fisica dei pazienti: i pazienti vengono aiutati a diventare consapevoli dei loro corpi, imparano a seguire le loro sensazioni fisiche e ad implementare azioni fisiche che promuovano l’autostima e la competenza. Viene insegnato loro ad osservare la relazione tra la loro organizzazione fisica, le convinzioni e le emozioni e a notare come le loro sensazioni fisiche, le posture e i movimenti fisici condizionino i loro stati emotivi e influenzino le parole e i contenuti che utilizzano e condividono in terapia. Tuttavia descrivere le esperienze traumatiche può attivare nei pazienti ricordi impliciti sotto forma di sensazioni fisiche collegate al trauma, sotto forma di disregolazione fisiologica, di movimenti involontari e di conseguenti emozioni di paura, vergogna, rabbia. È infatti noto come gli individui traumatizzati siano tipicamente vulnerabili all’iper-arousal o all’ipo-arousal e come oscillino tra questi due estremi. Nel caso di iperarousal i pazienti sperimentano un’eccessiva attivazione fisiologica per poter elaborare efficacemente qualsiasi informazione e sono tormentati da immagini, sentimenti e sensazioni corporee intrusive (battito cardiaco accelerato, tremori, giramento di testa ecc). Nel caso di ipoarousal i pazienti soffrono di un altro tipo di tormento che deriva da una scarsità di emozione e dalla sensazione di insensibilità, da un senso di torpore, passività e possibile paralisi. Quando questi due estremi si attivano in contesti non minacciosi diventano maladattivi e influenzano negativamente la qualità di vita. Per elaborare efficacemente il trauma del passato i pazienti devono lavorare in una zona di arousal ottimale descritto come finestra di tolleranza. All’interno della finestra di tolleranza sia le informazioni che vengono dall’ambiente interno sia quelle che vengono dall’esterno riescono ad essere recepite ed integrate. Il paziente riesce a pensare e parlare della propria esperienza e  percepire contemporaneamente un tono emotivo e un senso di sé congruenti.